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Allergia da alimenti

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Allergia da alimenti

Il problema delle reazioni avverse agli alimenti era noto fin dai tempi degli antichi greci e particolari manifestazioni erano già state associate all’ingestione di cibi. Tutti gli studi compiuti fino ad oggi ci hanno permesso di comprendere molti dei meccanismi che scatenano queste reazioni. Ma non tutte le reazioni sono allergiche. Con il termine allergia alimentare (AA) si intendono solo le reazioni causate dagli alimenti con meccanismi immunologici.

Cause

Lo sviluppo di AA è causato da un’alterata risposta immunitaria con produzione di anticorpi (chiamati IgE) che reagiscono verso le proteine alimentari, scambiate per “nemiche”.

L'intestino è dotato di barriere funzionali (immunitarie e non) che hanno lo scopo di bloccare l'ingresso di queste molecole presenti negli alimenti. Queste barriere sono normalmente immature nei primi mesi di vita, ma la grande quantità di proteine che vengono assorbite non causano reazioni grazie allo sviluppo da parte del sistema immunitario di una tolleranza verso di esse. Nei soggetti predisposti però viene a mancare proprio lo sviluppo della tolleranza verso le proteine alimentari e le reazioni immunitarie che si scatenano provocano i sintomi allergici.

Manifestazioni cliniche

Le manifestazioni dell’AA possono interessare la cute (orticaria, eczema, dermatite atopica), le mucose (angioedema) e l’occhio (congiuntivite), l’apparato respiratorio (rinite, asma bronchiale), l’apparato gastroenterico con varie manifestazioni (dolori addominali, diarrea, vomito), l’apparato cardiovascolare fino al quadro drammatico dello shock anafilattico.

Prurito e gonfiore alle labbra o al palato, che si manifestano durante o poco dopo il pasto, sono spesso i primi sintomi di AA. Sintomi diversi da quelli sopra in- dicati assai raramente possono dipendere da un’AA e non giustificano accerta- menti in questo senso.

E’ da ricordare che l’ingestione di alcuni alimenti ricchi di sostanze come il nichel solfato, possono indurre una riaccensione di sintomi cutanei (dermatite, prurito) e talora disturbi gastroenterici in soggetti particolarmente sensibili che manifestano reazioni da contatto con queste sostanze che non sono dovute ad anticorpi.

Una particolare attenzione deve essere posta alle cosiddette “intolleranze alimentari” (IA). Se si escludono le intolleranze legate al difetto di enzimi atti a digerire alcuni componenti alimentari come alcuni carboidrati (ad esempio, il difetto di produzione di lattasi per digerire il lattosio, che è uno zucchero del latte) e che si manifestano con disturbi a livello addo- minale (come flatulenza, dolori addominali, diarrea), e che si diagnosticano per mezzo di test non invasivi sul respiro (ad es.: test sul respiro per difetto di lattasi), le altre forme di IA sono rare. Quest’ultime sono defi- nite di tipo “farmacologico” o da meccanismi “pseudoallergici non defi- niti”, si manifestano come forme transitorie per le quali non vengono tollerati alimenti ricchi di sostanze come l’istamina, o additivi (fra i quali i conservanti e i coloranti). Per la diagnosi di queste forme di IA non esistono test attendibili: queste sostanze presenti in svariati alimenti cau- sano disturbi che possono somigliare ad una forma allergica. Le reazioni dipendono spesso da fenomeni di accumulo (sono cioè “dose dipendenti”).

Diagnosi di AA/IA

La diagnosi di AA si effettua innanzitutto mediante un’accurata raccolta dei dati clinici da parte dello specialista allergologo, quando già il Pediatra o il Medico di Medicina Generale hanno avanzato il sospetto di AA/IA. In base a questa prima serie di informazioni (tipo di disturbi avuti, tempo intercorso tra il pasto e l'inizio dei sintomi, quantità e qualità dei cibi mangiati, ecc.) lo specialista allergologo-immunologo può eseguire i test cutanei (prick test) e gli esami sul sangue per ricercare gli anticorpi (le IgE spcifiche) contro gli alimenti sospettati.

Per le IA si arriva alla diagnosi con un processo d’esclusione (si escludono cioè le AA), consigliando quindi una dieta povera degli alimenti che contengono le sostanze sospettate che sarà seguita per un periodo di tempo inferiore a un mese.

I test proposti dalla medicina alternativa non hanno alcuna validità scientifica per la diagnosi delle IA né per la diagnosi di AA, comportano soltanto dispendio in termini di tempo, di denaro e di salute, con ritardo della diagnosi di certezza, come ampiamente documentato dai dati della letteratura scientifica.

Prevalenza

La prevalenza di AA nei bambini sotto i 3 anni è stata calcolata intorno all’8%; nell’adulto è stimata nell’ordine del 3-4 %.

Le proteine alimentari che più di frequente causano reazione allergica nel bambino sono quelle del latte vaccino, dell’uovo, del grano, della soia, delle arachidi ed altra frutta secca; nell’adulto oltre a queste anche pesce e crostacei, e diversi tipi di frutta e verdura: in pratica va ricordato che svariatissime proteine alimentari possono causare reazioni allergiche.

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I fattori che influenzano lo sviluppo di un’AA sono la predisposizione genetica, il tipo di proteina alimentare e l’età della prima esposizione. Nel neonato la relativa immaturità del sistema immunitario e la ridotta efficienza della barriera intestinale, possono favorire l’insorgere di reazioni allergiche. Fattori che possono contrastare l’insorgenza delle AA sono il latte materno (con i suoi componenti immunitari) e la esposizione ritardata ai cibi più spesso causa di AA (uova, grano). Inoltre è stata dimostrata l’importanza della microflora intestinale nella induzione e nel mantenimento della tolleranza verso le proteine alimentare. Infine, vanno ricordati dei fattori occasionali che, invece, favoriscono le reazioni agli alimenti come le infezioni intestinali o l’uso ripetuto di antibiotici.

Prevenzione

L’allattamento materno rimane la strategia più efficace per prevenire l’insorgenza di AA nell’età pediatica. Negli ultimi anni si sono accumulate sempre più evidenze scientifiche relative al ruolo svolto dal tipo di nutrizione nei primi mesi di vita sullo sviluppo di AA in bambini ad alto rischio genetico (presenza di uno o più familiari con storia di allergia). L’effetto protettivo del latte materno è stato messo in relazione con la scarsa quantità di proteine alimentari che verrebbero trasferite al bambino mentre gli anticorpi presenti nel latte materno avrebbero la capacità di modulare le risposte immunologiche insieme ad altri componenti con proprietà antinfiammatorie e di difesa.

I molti studi effettuati non hanno indicato un vantaggio nella dieta d’eliminazione in gravidanza, mentre sembra essere efficace una dieta d’eliminazione preventiva (senza latte, pesce, uovo) durante l’allattamento. Altro fattore protettivo può essere lo svezzamento effettuato dopo il quinto-sesto mese, quando l'intestino è più maturo.

Nel caso di un bambino con familiarità allergica si pone il problema di quale latte utilizzare al posto di quello materno. I migliori risultati di prevenzione, in bambini ad alto rischio di allergie, sono stati ottenuti utilizzando formule a base di idrolisati estensivi di caseina o di sieropro- teine, associate ad uno svezzamento dopo il quinto mese.

La somministrazione durante l’allattamento di lattobacilli come probiotici per migliorare la microflora intestinale si è dimostrata d’utilità nella prevenzione della dermatite atopica ma è ancora da dimostrarne l’efficacia nella prevenzione dell’AA.

Norme per la prevenzione delle Allergie Alimentari

- la dieta d’esclusione in gravidanza non è consigliata
- è consigliato l’allattamento esclusivo al seno per 4-6 mesi

- si consiglia l’introduzione di alimenti solidi (svezzamento) non prima del quinto mese

- nei lattanti con definito rischio atopico (genitori o fratelli con malattia allergica) è raccomandato l’uso di latte con una formula la cui ipoallergenicità sia ben documentata

- le arachidi, le noci ed alcuni tipi di pesce dovrebbero essere introdotti nella dieta del bambino dopo i 3 anni di età.

E’ fondamentale ricordare poi che il raggiungimento della diagnosi di certezza di AA è una forma particolarmente importante di prevenzione. Infatti, riconoscere l’AA e diagnosticare con gli opportuni test allergologici (test cutanei e ricerca degli anticorpi IgE specifici nel sangue) quali proteine alimentari sono in grado di determinare la sintomatologia, e quindi quali alimenti devono essere evitati, può consentire, sia nel bambino che nell’adulto, di prevenire nuovi episodi e quindi l’insorgenza di sintomi talora molto gravi. Per contro, in assenza di una diagnosi corretta, spesso vengono esclusi impropriamente dalla dieta alimenti fondamentali dal punto di vista nutrizionale specie nel bambino, causando un danno anziché un beneficio.

E’ anche importante sottolineare che i soggetti, nei quali è già stata posta diagnosi di allergia respiratoria, possono, anzi, devono, essere seguiti nel tempo dallo specialista allergologo, che può eventualmente ravvisare anche i minimi segni di sviluppo di una forma di AA, che ovviamente è di più frequente riscontro in questi pazienti.

E’ doveroso sottolineare inoltre l’importanza di consentire agli allergici pasti sicuri, privi cioè delle proteine alimentari che possono determinare sintomi anche in minime quantità.

E’ importante, quindi, seguire sia nella ristorazione privata che pubblica il bambino e l’adulto allergici agli alimenti. Nella ristorazione scolastica, è opportuno che venga attuata la prevenzione attraverso la somministra- zione di pasti sicuri, previo il rilascio di certificazione da parte di uno specialista allergologo-immunologo e, nella ristorazione privata, è opportuno che venga esercitato il controllo della sicurezza alimentare anche per gli allergici agli alimenti, che, per minime quantità di alimento “nascosto” e non dichiarato, possono incorrere in sintomi anche molto importanti. L’aiuto che in questo senso ed in molti altri possono dare anche le Associazioni volontarie di pazienti, è fondamentale. Le Associazioni di pazienti allergici ad alimenti (come Food Allergy Italia), in continuo contatto con gli specialisti, possono fornire un ulteriore supporto ed un appoggio a coloro che, per anni o per sempre, devono porre un’attenzione particolare all’alimentazione. 

Rinite Allergica (Raffreddore da fieno)

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La rinite allergica


La rinite cronica, ed in particolare la rinite allergica, rappresenta una patologia di frequente riscontro. Rinite è una parola composta da rino che significa naso, e dal suffisso -ite- che significa infiammazione; la rinite allergica è perciò, come dice il termine, una infiammazione provocata dalla reazione della mucosa del naso a determinate sostanze. Nei soli Stati Uniti sono oltre 50 milioni gli individui che soffrono di rinite allergica, rappresentando così la più comune patologia cronica dell’adulto e del bambino. La prevalenza, cioè la frequenza totale della popolazione mondiale affetta da rinite allergica, è superiore al 10%. Queste stime probabilmente sono sottostimate poiché i sintomi vengono sottovalutati sia dal soggetto che ne è affetto che dal medico stesso. D’altra parte, il trattamento adeguato può evitare l’insorgenza a lungo termine di complicanze invalidanti.

Meccanismo d'azione
Si tratta di una reazione antigene-anticorpo, nel corso della quale mediatori flogistici causano una vasodilatazione. Non è sempre facile distinguere la rinite allergica dalla rinite infettiva causata da batteri o virus, soprattutto in età infantile dove le manifestazioni allergiche sono mascherate dalle ripetute infezioni virali. Solitamente il bambino allergico inizia a sensibilizzarsi nei confronti degli allergeni respiratori attorno ai 2 anni. Si deve sospettare la natura allergica quando la comparsa dei sintomi non consegue ad infezioni delle vie aeree, se compaiono in primavera ed estate, se le recidive sono superiori ai 5 eventi all’anno, se si identificano ritmi cronologici che dipendono dall’allergene in causa. Il sintomo più caratteristico è la "starnutazione a salve e ripetuta".

L’insorgenza è più comune nell’adolescenza, ma può comparire a qualsiasi età. La rinite allergica è una sindrome relativamente rara prima dell’età scolare e la sua comparsa precoce è da collegarsi ad una pollinosi o febbre da fieno, termine con cui comunemente si indica la rinite allergica acuta, stagionale, causata dall’inalazione di pollini. I ragazzi che soffrono di pollinosi hanno spesso congiuntivite per un paio d’anni prima di sviluppare la vera rinite allergica, manifestando il caratteristico corteo di sintomi. Si deve considerare inoltre la notevole variabilità geografica circa i tempi e le modalità di esposizione al polline tra una zona e l’altra.

La "pollinosi primaverile" è dovuta a pollini di alberi, quali ad esempio la quercia, l’olmo, l’ontano, l’acero, la betulla, il pioppo nero. L’esposizione ai pollini in primavera è di breve durata per alcune specie: mentre alcuni pollini pesanti non sono portati dal vento molto lontano, i pollini più leggeri dispersi dal vento cominciano ad essere disseminati non prima di agosto e continuano fino alle prime gelate d'autunno.

La "pollinosi estiva" è dovuta pollini di erbe, quali ad esempio gramigna, capriola, codolina, erba, primaverile dolce, frutteti, ed a pollini di erbe selvatiche come l’acetosella e la piantaggine.

La "pollinosi autunnale" è dovuta a pollini di erbe selvatiche come l’ambrosia.

Talvolta la febbre da fieno è dovuta a spore fungine trasportate nell’aria. Le riniti allergiche da muffe rappresentano un problema di difficile soluzione in quanto vengono trasportate a grande altezze e causano allergia per tutto l’anno. L’esposizione è più intensa nei luoghi umidi, vicino ai letti dei fiumi ed in zone per lo più caldo-umide. Nei soggetti con rinite allergica perenne i sintomi durano tutto l’anno e gli antigeni responsabili non sono sempre individuabili anche se di solito si tratta di piume, acari, forfore, peli di animali e muffe.

Sintomi

La manifestazione clinica comprende comunemente:

  • starnuti, il sintomo più caratteristico: il paziente può lamentare una rapida successione di numerosi starnuti; si può avere conseguente lacrimazione e chiusura delle palpebre per attivazione del riflesso naso-lacrimale. È accompagnata da senso di prurito al naso 
    congiuntivite, cioè infiammazione dell’occhio caratterizzata da bruciore e lacrimazione, accompagnata nei casi più gravi da dolore agli stimoli luminosi (fotofobia) 

  • rinorrea acquosa, cioè fuoriuscita di liquido dal naso e prurito nasale; tale disturbo può provocare irritazione della cute del naso e del labbro superiore 

  • ostruzione nasale, questo disturbo è inizialmente intermittente o più accentuato la sera e la notte ed in seguito può comportare complicanze a livello dei seni paranasali con cefalea, o delle tube di Eustachio dell’orecchio e conseguente otalgia (dolore all’orecchio) e difetti dell’udito 

  • cefalea 

  • tosse notturna presente nei bambini senza una chiara correlazione ad una patologia infettiva. 

Meno frequentemente può interessare anche la faringe. La continua congestione nasale può determinare compromissione dell’olfatto e del gusto. La comparsa dei sintomi dipende dall’allergene coinvolto. Così, nel caso dei pollini, la comparsa dei sintomi coincide con l’impollinazione della pianta responsabile. Diverso è il caso in cui l’allergene è sempre presente come la polvere di casa: in questo caso il disturbo è perenne.

Diagnosi

Anamnesi ed esame obbiettivo 
Test cutanei. Si utilizzano miscele di estratti di pollini; i pollini individuali non vengono quasi mai testati dato l’elevato grado di reattività crociata 

Eosinofilia nelle secrezioni

La presenza di sintomi nel periodo invernale indica una forma allergica a forfore animali o all’acaro della polvere. La presenza di fattori precipitanti come la presenza di erba appena tagliata indirizza la diagnosi verso pollini o muffe. Una sintomatologia correlata ad attività agricola suggerisce allergia a funghi.

Complicanze

Compaiono nelle forme perenni:

  • Asma bronchiale

  • Sinusite cronica; la frequenza di questa complicanza è tale da giustificare il termine "rinosinusite"e da utilizzarlo sempre nel caso di rinite cronica

  • Otite media sierosa

  • Difetti dell’udito

  • Poliposi nasale; nei soggetti allergici la recidiva postoperatoria ha una frequenza doppia rispetto alla popolazione non allergica

  • Alterato dello sviluppo del massiccio facciale, di particolare rilevanza nel bambino 

Terapia

Prevenire l’esposizione agli allergeni è il cardine della terapia, tuttavia una completa prevenzione è impossibile, soprattutto per i pollini trasportati nell’aria. È comunque di fondamentale importanza attuare misure preventive associate ad un’accurata bonifica igienico-ambientale: tenere le finestre chiuse nei periodi a rischio, cambiare e pulire i filtri del riscaldamento e del condizionamento d’aria, evitare ambienti polverosi. Le misure profilattiche nei confronti delle muffe prevedono la riduzione dell’umidità all’interno dell’abitazione, la disinfezione con cloro delle zone infette e l’allontanamento degli oggetti contaminati quali tappeti o oggetti di legno.
Si deve evitare il contatto con animali domestici quando l’allergene è costituito dalle forfore animali, mentre per quanto riguarda il fumo di tabacco è impossibile evitarne l’esposizione.

L’impiego adeguato e tempestivo dei farmaci ha lo scopo di contrastare il carattere cronico della flogosi della mucosa nasale. Lo stato infiammatorio protratto nel tempo provoca infatti una condizione di iperreattività nasale e conseguente comparsa dei sintomi classici della rinite, scatenati però da una serie di stimoli, diversi dagli allergeni inizialmente responsabili. Ciò spiega il virare del quadro clinico, inizialmente stagionale, ad una forma perenne.
Cortisonici ed antistaminici. 
Sodiocromoglicato: la somministrazione endonasale può essere di aiuto, ma per avere piena efficacia deve essere iniziata prima della stagione a rischio. 
L’immunoterapia specifica, o iposensibilizzazione specifica: consiste nella somministrazione per via sottocutanea di estratti allergenici specifici a dosi scalari, progressivamente crescenti, al fine di ottenere una riduzione delle manifestazioni cliniche. Si è dimostrata particolarmente efficace nelle riniti stagionali soprattutto da pollini, erbe e graminacee. L’immunoterapia delle riniti allergiche da muffe con Cladosporium e Alternaria ha dimostrato una certa efficacia. La durata del trattamento può essere di qualche anno, seguita da un nuovo ciclo solo in caso di recidiva. L’immunoterapia specifica può essere iniziata a qualsiasi età. Si preferisce comunque trattare gli adolescenti, qualora sia impossibile evitare l’esposizione all’allergene. Questa tecnica presenta il rischio di reazioni agli estratti allergenici somministrati, perciò deve essere eseguita da personale medico ed il paziente deve essere controllato per almeno mezz’ora successivamente all’inoculazione. Pur essendo una pratica costosa, quando il paziente risponde pienamente alla terapia desensibilizzante con la scomparsa o remissione dei sintomi, il rapporto costo-benefici è chiaramente a favore dei benefici.

L'asma bronchiale

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Asma bronchiale

L’asma bronchiale è una patologia caratterizzata essenzialmente da uno spasmo dei bronchi, che induce difficoltà di respiro (dispnea). Esistono 2 forme di asma bronchiale: una allergica, in cui l’allergene può agire in modo perenne o sporadico e una non allergica, determinata da fattori di varia natura.

Sintomi

I sintomi sono: una tosse secca o catarrosa, un senso di costrizione al torace e difficoltà respiratoria. Tipico è il sibilo durante la fase di espirazione.
Un attacco d’asma può essere causato dall’azione particolarmente violenta di un allergene, da emozioni o da improvvise variazioni della temperatura. Durante l’attacco, la mucosa dei rami bronchiali più piccoli e dei bronchioli polmonari si ispessisce, la muscolatura liscia dei bronchi si contrae e il passaggio dell’aria è difficoltoso.

Cause

Di solito è dovuta ad allergia, ma può anche essere causata da fattori emotivi, fisici e chimici. Gli allergeni più comuni sono quelli stagionali primaverili, i pollini, e quelli contenuti nelle polveri di casa: gli acari.

Terapia

Essenziale è l’identificazione dell’allergene che determina l’asma: in questo caso si può allontanare l’individuo dall’agente causale, oppure intervenire con una terapia di desensibilizzazione. Quando ciò non è possibile si ricorre all’uso, secondo i casi, di antistaminici, agenti B-adrenergici, teofillinici, corticosteroidi, disodiocromoglicato, agenti anticolinergici che svolgono azione broncodilatatrice o inibente l’azione allergizzante. 

Conseguenze

In caso di attacco d’asma acuto e grave può essere necessario il ricovero in ospedale per minaccia di soffocamento. Esistono, comunque, farmaci in grado di attenuare un attacco acuto anche gravissimo. L’asma bronchiale cronica, a causa dello sforzo determinato dai ripetuti attacchi, può, col tempo, originare una cardiopatia.

Dermatite allergica da contatto

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Dermatite allergica da contatto

La dermatite allergica da contatto rappresenta la risposta cellulare del sistema immunitario indotta dal contatto ripetuto con particolari sostanze estranee all’organismo (apteni).

Manifestazioni cliniche

Si presenta come una dermatite eczematosa caratterizzata da lesioni polimorfe: eritematose, vescicolari, crostose e spesso desquamative intensamente pruriginose. Insorge spesso improvvisamente nonostante il contatto con la sostanza coinvolta non avesse provocato prima reazioni cutanee. Le lesioni inizialmente sono localizzate nella zona della cute esposta alla sostanza sensibilizzante, successivamente, se il contatto è ripetitivo, tenderanno a propagarsi ad altre aree cutanee.

Cause

Come è facilmente intuibile numerose possono essere le sostanze responsabili delle allergie da contatto, tuttavia tra quelle più frequentemente coinvolte una maggiore attenzione deve essere posta ad alcuni metalli, come il nichel solfato,presente in bigiotteria, monete, utensili, tinture per capelli, detergenti ed alimenti, fibie, bottoni, ecc,;  il cobalto cloruro ed il potassio bicromato contenuti in materiali impiegati nell’edilizia; i parabeni, utilizzati come conservanti in profumi, saponi, cosmetici in genere, cibi; il balsamo del Perù utilizzato come aromatizzante in cibi e cosmetici; gomme, medicamenti topici e materie plastiche.

Diagnosi

Al fine di porre una corretta diagnosi, impostare una terapia efficace e attuare delle adeguate misure preventive, è di fondamentale importanza affidarsi ad un medico specialista in Allergologia. Ai fini diagnostici è necessaria una accurata raccolta di tutte le notizie concernenti la manifestazione clinica (ad esempio, epoca e sede iniziale della comparsa delle lesioni cutanee, andamento clinico, correlazione con eventuali
sostanze con cui si è venuti a contatto,se correlati all’ambiente di lavoro o ad altre circostanze), che può essere indicativa della causa scatenante la dermatite.
Per individuare la sostanza responsabile, possono essere effettuati i test allergologici epicutanei (patch test), che consistono nell’applicazione delle sostanze sospette sulla cute del dorso del paziente utilizzando particolari dispositivi adesivi che andranno rimossi a distanza di 48-72 ore.

L’interpretazione del risultato del test è piuttosto complessa e richiede notevole esperienza. Il patch test è positivo se nel punto di applicazione di una determinata sostanza sono presenti lesioni cutanee che mimano la dermatite da contatto stessa. L’individuazione delle sostanze responsabili è fondamentale perché solamente prevenendo il contatto con esse è possibile evitare le recidive. Se, dopo 12-24 ore l’apposizione del patch, insorge prurito nella zona si tratta di un una dermatite irritativa da contatto e non una forma allergica.

Prevenzione

La prevenzione consiste principalmente nell’evitare il contatto con i materiali contenenti la sostanza ed è fondamentale per il successo della terapia farmacolo- gica. Questa ha come obiettivo nei casi più lievi alla somministrazione di un antistaminico per via orale per qualche giorno per attenuare il prurito; mentre per la cura delle lesioni cutanee è indicata l’applicazione topica di creme a base di corticosteroidi. Nei casi più gravi e severi il ricorso ai corticosteroidi per uso si- stemico si rende assolutamente indi- spensabile.

Bisogna, infine, ricordare che le alterazioni del mantello idrolipidico cutaneo, indotte, ad esempio, da eccessive sudorazioni, dalla mancata traspirazione cutanea (per l’utilizzo di indumenti eccessivamente aderenti) e dall’uso frequente di detergenti aggressivi predispongono all’insorgenza della dermatite allergica da contatto.

Per tali ragioni, può rivelarsi utile:

• l’applicazione di creme idratanti ed emollienti dopo la detersione del corpo,

• la protezione delle mani con guanti e creme barriera,

• l’utilizzo di indumenti in fibre naturali (ad esempio, lino, cotone), evitando indumenti sintetici ed eccessivamente colorati.

 

Dermatite atopica

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Dermatite atopica

 

La dermatite atopica è una malattia infiammatoria cronica della cute di tipo eczematoso che si associa frequentemente a iperproduzione di IgE e a familiarità atopica. Nei paesi occidentali essa colpisce circa il 10% della popolazione infantile, mentre nell'età adulta l'incidenza è ridotta oscillando intorno all'1 3% della popolazione.

Di particolare rilievo sul piano eziologico appaiono i rapporti tra DA e allergia all'acaro Dermatopha¬goides pteronyssinus (DP). Infatti circa il 70 80% dei pazienti con DA severa produce IgE specifiche verso il DP e l'esposizione ad alte concentrazioni del suddetto allergene induce un sensibile peggioramento della sintomatologia, mentre il rispetto di alcune regole igienico ambientali, che consentono di ridurre la concentrazione dell'acaro, determina un significativo miglioramento della sintomatologia. Del resto gli allergeni derivati dall’acaro DP svolgono il loro effetto anche per passaggio transcutaneo.

Circa il 25% dei pazienti con dermatite atopica ha anticorpi IgE specifici per i comuni allergeni alimentari, quali uova, latte, frumento e pesce, ecc. I sintomi conseguenti all'ingestione di tali alimenti possono essere, oltre ad una riacutizzazione delle lesioni eczematose, anche rappresentati da angioedema delle labbra e del volto, orticaria generalizzata. Il peggioramento della DA avviene generalmente a distanza di 8 24 ore . E’ stato anche osservato che i pazienti con DA presentano un peggioramento dei sintomi in seguito all'ingestione di alimenti ricchi di additivi (conservanti e coloranti), mentre l'adozione di una dieta il più possibile priva di tali sostanze induce un certo miglioramento della sintomatologia.

La DA è certamente una malattia con un importante substrato genetico. Analogamente a quanto dimostrato per l'asma bronchiale allergico, anche nella DA le cellule primariamente coinvolte nell'induzione e nel mantenimento della flogosi a livello cutaneo, così come nell'iperproduzione degli anticorpi della classe IgE, sono i linfociti T di tipo Th2.

E’ stata evidenziata nelle sedi di lesione la presenza di granulociti eosinofili in fase di attivazione. Il riscontro di eosinofili e il loro stato di attivazione sono anche indirettamente dimostrati dal costante riscontro di MBP, ECP e di EPO a livello delle lesioni cutanee di tipo eczematoso.

Le citochine prodotte dai linfociti Th2 attivati sarebbero a loro volta in grado di reclutare e di attivare gli eosinofili, i quali rappresentano le principali cellule effettrici del danno tissutale. Il reclutamento di eosinofili e l'ulteriore accumulo di linfociti nella sede di lesione sarebbero resi possibili dall'espressione di molecole di adesione indotta dalle citochine prodotte dai linfociti Th2 e dall’effetto chemiotattico delle chemochine.

 

Istopatologia

 

Le lesioni tipiche delle manifestazioni acute sono rappresentate da iperplasia dell'epidermide con edema intercellulare e formazione di piccole vescicole. E’ anche presente un intenso infiltrato epidermico costituito prevalentemente da linfociti e rari macrofagi. A livello del derma si osserva invece un infiltrato perivascolare di linfociti e macrofagi. Nelle lesioni croniche lichenificate prevalgono gli aspetti di ipercheratosi; a livello epidermico è presente un modesto infiltrato linfocitario, mentre nel derma si ritrovano sia linfociti, sia monociti macrofagi in sede perivascolare.

Sintomatologia

 

La DA si manifesta nel 60% dei casi entro il primo anno e, nel 90% dei casi, entro il quinto anno di vita. Le manifestazioni cliniche caratteristiche della DA sono rappresentate da secchezza cutanea, prurito e lesioni eczematose in sedi peculiari. Il quadro clinico della malattia assume aspetti particolari a seconda dell'età della vita in cui essa compare. Nel lattante, le lesioni sono localizzate principalmente alle guance, alla fronte, al cuoio capelluto, in sede retroauricolare e soltanto secondariamente al tronco e alle estremità e assumono carattere prevalentemente essudativo anche a causa delle frequenti infezioni microbiche sovrapposte. In questa fase sono spesso presenti insonnia e irrequietezza e soprattutto dopo il terzo quarto mese si associano anche lesioni da grattamento. Nell’infanzia, le sedi più frequentemente interessate dalle lesioni cutanee che mostrano un aspetto più lichinificato e meno essudativo, sono le pieghe del gomito, delle ginocchia, i polsi, le caviglie, le mani e la regione laterale del collo.

Nell’adolescenza, la DA assume aspetti del tutto simili alla forma infantile ed è caratterizzata da un prevalente interessamento del volto e delle pieghe cutanee dove predominano aspetti di lichenificazione. E’ abbastanza frequente la localizzazione palmare e plantare che impone la distinzione nei confronti della dermatite da contatto. La DA si associa frequentemente ad altre condizioni morbose, soprattutto a carico dell’occhio.

La DA presenta un andamento cronico-recidivante ed ha una tendenza alla risoluzione spontanea entro la pubertà in circa il 20-25% dei casi ed entro i 50 anni in circa il 40% dei casi. Deve essere tenuto presente che i soggetti affetti da DA fino dai primi anni di vita, nel 80% dei casi sviluppano nell’adolescenza una rinite allergica o AB allergico.

 

Diagnosi

 

La comparsa di sintomi peculiari quali secchezza della cute, prurito e lesioni eczematose in sedi caratteristiche in un soggetto con familiarità atopica rende la diagnosi di DA relativamente facile. Tuttavia, poiché non esiste né un quadro istopatologico, né un marker di laboratorio specifico della malattia, la diagnosi deve basarsi su appositi criteri. Di grande importanza sul piano pratico è l’effettuazione delle prove allergologiche cutanee, al fine di svelare la presenza di una eventuale sensibilizzazione verso i più comuni allergeni, sia inalanti che alimentari. Va precisato che le prove cutanee forniscono frequentemente risultati non univoci a causa delle particolari condizioni della cute. E’ pertanto opportuno ricorrere anche alla determinazione delle IgE sieriche specifiche mediante RAST. Di una certa utilità risulta anche la determinazione delle IgE sieriche totali (RIST); nei casi in cui la DA sia associata ad asma e rinite e sia documentabile la presenza di IgE specifiche per numerosi allergeni, i livelli di IgE totali risultano particolarmente elevati.

Nel bambino la diagnosi differenziale deve essere posta con la dermatite seborroica e con la scabbia, mentre nell’adulto con la dermatite seborroica e con la dermatite eczematosa da contatto. E’ da rilevare che la dermatite seborroica si distingue per l’aspetto non essudativo delle lesioni cutanee, per l’incostante presenza di prurito, peraltro mai intenso e per l’assenza di elevati livelli di IgE sieriche. Il raro riscontro di familiarità e di associazione con malattie atopiche, di elevati livelli di IgE sieriche specifiche per allergeni inalanti ed alimentari, nonché la rara insorgenza in età infantile costituiscono i principali caratteri distintivi della dermatite da contatto. Infine la diagnosi di dermatite da contatto si basa anche sulla positività dei patch test per una o più sostanze chimiche semplici (apteni).

Allergie ai Farmaci

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Reazioni allergiche a farmaci

Il rapido e progressivo sviluppo negli ultimi anni di sempre nuovi farmaci per il trattamento delle diverse malattie, ed il loro maggior consumo e abuso ha portato come conseguenza fortemente negativa ad un incremento notevole di reazioni allergiche o allergo-simili a farmaci o più genericamente reazioni avverse a farmaci (RAF), con manifestazioni talora particolarmente gravi, anche ad esito letale, in casi molto rari.

Da qui il suggerimento a non assumere farmaci se non realmente necessari e al tempo stesso a non evitare di prenderli solo per la paura di una eventuale reazione avversa a farmaci. Fortunatamente la maggior parte delle RAF non sono gravi. Va tuttavia sottolineato che la prevedibilità del grado di severità di una RAF, per un determinato farmaco ed in un determinato paziente, non è di solito possibile né attendibile.

Definizioni

Per reazione avversa a farmaci (RAF) si intende qualsiasi risposta non desiderata ed involontaria che si verifica in seguito alla assunzione, per motivi diagnostici, preventivi o terapeutici, di un farmaco peraltro appropriato allo scopo desiderato. Il Farmaco è qualsiasi sostanza utilizzata a scopo diagnostico, preventivo o terapeutico.

Frequenza delle Reazioni Avverse a Farmaci

Le conoscenze sulla frequenza delle RAF sono imprecise ed incomplete per diverse ragioni: a) difficoltà di discriminare tra segni e sintomi attribuibili sicuramente alla malattia in atto e quelli invece dovuti al trattamento, anche perché le RAF possono mimare praticamente qualsiasi malattia, com- presa quella per il quale il farmaco trova indicazione; b) difficoltà di stabilire un inequivocabile rapporto di causa/effetto, con variabili poco conosciute e modificabili nel tempo; c) la prescrizione spesso poli-farmacologica ed il frequente uso di farmaci in auto-prescrizione.

 

Dai monitoraggi di vari gruppi internazionali, sappiamo che dal 15 al 30% dei soggetti ospedalizzati presenta una o più RAF. L’incidenza di pazienti ricoverati per una RAF varia notevolmente dallo 0.2% al 29- 30%, in rapporto all’età, sesso, razza ed ambiente di vita. La maggior parte di queste è fortunatamente di grado lieve. Il rischio di una reazione letale è veramente molto raro ed è valutabile intorno allo 0.01% di pazienti sottoposti ad intervento chirurgico, e nello 0.1% di pazienti trattati clinicamente.

Classificazione delle RAF

Le reazioni avverse ai farmaci sono divisibili in due gruppi principali:

- le reazioni abnormi (di tipo A) prevedibili, dose-dipendenti, hanno alta morbilità e bassa mortalità. Sono principalmente correlate all’azione farmacologica e possono verificarsi anche in soggetti normali;

- le reazioni bizzarre (di tipo B) imprevedibili, dose-indipendenti, hanno bassa morbilità, non sono correlate all’azione farmacologica ma in rapporto piuttosto con la risposta individuale di soggetti predisposti.

A) Anormali

- Sovradosaggio
- Effetti collaterali
- Effetti secondari o indiretti - Interazioni farmacologiche

B) Bizarre

- Intolleranza
- Idiosincrasia
- Reazioni Allergiche
- Reazioni Pseudoallergiche

 

La grande maggioranza (80%) delle RAF appartengono al gruppo A. Tuttavia quelle di maggiore interesse per la loro pericolosità sono le reazioni allergiche e pseudoallergiche del gruppo B.

Cause delle Reazioni Avverse a Farmaci

Reazioni Allergiche.

Le RAF su base allergica, in cui è dimostrato un meccanismo immuno- logico, si verificano in un numero limitato di soggetti, sono imprevedibili per definizione, qualitativamente abnormi e non correlate all’attività farmacologica della sostanza sensibilizzante.

Rappresentano il risultato di una risposta immunologica ad un farmaco dopo una precedente esposizione allo stesso o a sostanze ad esso correlate immunochimicamente, con la formazione di anticorpi specifici.
La reazione è solitamente dose-indipendente e può essere riprodotta da minime quantità del farmaco sospettato o da sostanze cross-reattive.

 

- Reazioni Pseudo-allergiche.

Quelle pseudoallergiche, di gran lunga le più frequenti, sono le reazioni che clinicamente mimano la sintomatologia delle RAF su base immuno- logica con manifestazioni del tutto sovrapponibili a quelle con dimostrato meccanismo allergico. Queste reazioni sono prodotte da farmaci in grado di indurre una attivazione diretta dei vari sistemi che sono alla base delle manifestazioni cliniche simili alle reazioni allergiche.

Diagnosi delle reazioni avverse a farmaci

1) Anamnesi

L’anamnesi rappresenta il cardine fondamentale e indispensabile nella diagnosi delle RAF e deve essere mirata ad accertare:

  1. a)  familiarità e precedenti allergici personali o familiari;

  2. b)  la correlazione temporale tra l'assunzione del farmaco e la comparsa dei sintomi, la loro durata e la remissione, spontanea o terapeutica, ed eventuale, contemporanea assunzione di alimenti o contatto con inquinanti;

  3. c)  le caratteristiche cliniche delle manifestazioni;

  4. d)  le modalità di assunzione del farmaco (orale, rettale, topica, parenterale), la posologia, la durata del trattamento, le precedenti assunzioni del farmaco o di farmaci correlati;

  5. e)  la mono o pluriassunzione contemporanea di farmaci diversi;

  6. f)  l’elenco dei farmaci tollerati al momento.

Occorre tenere presente che i prodotti da banco (antinevralgici, lassativi, colliri, pomate, ecc), compresi i farmaci delle medicine alternative, non vengono considerati importanti dal punto di vista allergologico e come tali spesso non sono riportati dai pazienti durante il colloquio anamnestico.

E’ altresì necessario indagare sulla eventuale presenza di malattie croniche (diabete, ipertensione, ecc.) per le quali vi è una assunzione costante di farmaci specifici per lunghi periodi. Pertanto l'insorgenza di una RAF non sempre è attribuita al farmaco assunto, proprio perché perfettamente tollerato in precedenza.

E’ consigliabile inoltre per il paziente conservare accuratamente le ricette delle visite mediche effettuate, le cartelle dei precedenti ricoveri ospedalieri e tutte le confezioni di medicinali utilizzati, dal momento che, al momento della visita si potrebbero immediatamente identificare in modo preciso i farmaci assunti nelle diverse occasioni.

2) Le prove diagnostiche allergologiche in vivo

Le prove devono essere eseguite in ambiente protetto e da specialisti allergologi. Infatti, la loro esecuzione andrà valutata nei singoli casi in relazione alle caratteristiche cliniche della sintomatologia e della rapidità di insorgenza, alla struttura del farmaco ritenuto responsabile e alle sue peculiarità metaboliche, nonché alle modalità di assunzione, all'intervallo di tempo intercorso fra la sua somministrazione e la comparsa della RAF.

I test cutanei (prick e intradermoreazioni con le opportune diluizioni), generalmente sono indicati nelle RAF di tipo immediato e di gravità medio-lieve. Le gravi reazioni (edema della glottide e shock anafilattico) in linea di massima controindicano i test in vivo.

I test cutanei sono generalmente attendibili per i seguenti farmaci: penicillina e suoi metaboliti, ormoni (insulina, calcitonina, ecc.), miori- lassanti, sieri immuni eterologhi e tossoide tetanico, alcuni vaccini.

E' da evitare la pratica del cosiddetto “pomfo di prova”, per diverse ragioni. In sintesi, il pomfo di prova è una metodica erronea, incongrua, del tutto priva di validità e attendibilità, senza alcun valore diagnostico predittivo e non scevra da rischi e come tale va assolutamente evitata e scoraggiata.

In caso di reazioni ritardate, sono particolarmente attendibili i tests epicutanei o patch test su cute sana, l’open test in aperto, lo scratch patch test su cute opportunamente disepitelizzata, il foto patch test e il test intradermico, con lettura a 48 - 72 ore.

Va infine precisato che numerosi farmaci possono contenere oltre al principio attivo anche vari additivi, preservanti, coloranti e conservanti, a loro volta spesso responsabili di questo genere di reazioni, pertanto prima di effettuare i test in vivo con il farmaco ritenuto responsabile, sarebbe opportuno escludere con certezza la responsabilità di tali sostanze come causa reale di RAF.

Una ulteriore indagine nella diagnostica delle reazioni avverse a farmaci è rappresentato dal test di tolleranza. Con questa indagine, nota anche come test di provocazione, il paziente viene esposto in vivo all’azione del farmaco da valutare, con opportuna metodica (che prevede la som- ministrazione refratta e progressiva del farmaco stesso), osservandone l’eventuale comparsa di reazioni avverse.

Va subito precisato che questo test, considerando i rischi ai quali il paziente viene sottoposto, è giustificato solo in caso vi sia la reale neces- sità di somministrare un farmaco alternativo a quello per il quale l’ana- mnesi sia positiva o sospetta. Si dovrà, quindi, scegliere per il test una molecola con struttura chimica del tutto diversa da quella del farmaco che ha provocato la reazione.

Le modalità di esecuzione del test di tolleranza sono sono ben standar- dizzate per molti farmaci, in parte ancora empiriche per altri. E’ buona regola adottare la massima prudenza e che il test venga eseguito in ambiente idoneo dallo specialista allergologo.

Deve essere precisato che talora, in casi molto particolari, può rendersi necessario procedere a trattamento iposensibilizzante. Tali procedura trova indicazione solo nei casi, peraltro rarissimi, in cui vi è la irrinunciabile necessità di usare il farmaco responsabile della reazione allergica e non vi è la possibilità di sostituirlo con un altro (ad es.: Insulina nel Diabete Mellito insulino-dipendente scompensato).

Considerando la delicatezza di esecuzione ed i potenziali rischi, tutte le procedure di iposensibilizzazione devono essere esclusivamente eseguite dallo specialista allergologo in ambiente ospedaliero protetto.

Conclusioni

1. Allo stato attuale non esistono metodi specifici che diano la sicurezza assoluta di diagnosi di allergia a farmaci e che siano completamente scevri di rischi per il paziente.

2. L’anamnesi è il mezzo diagnostico più importante.

3. Nel caso in cui si sospetti fondatamente una reazione allergica ad un farmaco, si consiglia di annotare accuratamente: a) farmaco e suo dosag- gio; b) via di somministrazione; c) data e tempo trascorso dall’assunzione; d) tipo e frequenza della reazione al farmaco.

4. Limitare, in generale, l’uso dei seguenti farmaci: a) qualsiasi medicamento che si sospetti abbia procurato reazioni allergiche; b) antibiotici beta- lattamici (penicilline e cefalosporine) e loro derivati semisintetici; c) anestetici locali; d) analgesici ed antiinfiammatori a base di acido acetilsalicilico, pirazolonici, fenacetina; e) vitamine B1, B12 ed estratti epatici.

5. Nel caso in cui si sia costretti a somministrare uno qualsiasi dei farmaci citati al punto 4 (escludendo sempre quelli del paragrafo a) ricorrere sempre, nei limiti del possibile, alla somministrazione (a dosi frazionate e sotto controllo medico) per via orale, evitando quella parenterale.

6. Il paziente dovrebbe evitare le associazioni farmacologiche, perché in caso di una ulteriore reazione allergica sarà più difficoltoso identificare il principio attivo responsabile.

7. Possono essere eseguite vaccinazioni ma deve essere evitato l’uso di sieri immuni omologhi ed eterologhi.

8. Il paziente deve sempre preavvisare il medico della propria condizione di ipersensibilità ai farmaci ogni volta che gli venga prescritta una terapia di qualsiasi genere.

9. Nel caso in cui il paziente debba sottoporsi ad esami con mezzo di contrasto iodato oppure ad anestesia locale, deve far presente al medico che + affetto da allergia a farmaci.

10. Evitare assolutamente l’automedicazione, soprattutto con i prodotti da banco, ritenuti a torto innocui. 

Allergie al veleno di insetti

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Allergia agli imenotteri

Con l’arrivo della stagione primaverile si intensificano le uscite e le attività ricreative all’aperto e torna, puntualmente, a diffondersi la “fobia”per le punture d’insetto. Ogni anno numerose persone vengono punte da api, vespe e calabroni. Questi insetti,appartenenti alla famiglia degliImenotteri, quando pungono iniettano nella vittima il loro veleno. Nella maggior parte dei casi le punture si risolvono spontaneamente con arrossamento, gonfiore e bruciore locali che possono durare al massimo qualche ora. Una piccola percentuale di soggetti può invece sensibilizzarsi al veleno di questi insetti e sviluppare reazioni allergiche anche severe.

Prevalenza

La prevalenza delle reazioni sistemiche da punture di imenotteri risulta compresa tra lo 0.4-0.8% della popolazione pediatrica e il 5% della popolazione adulta; di queste ultime circa l’1% è di tipo anafilattico. Se vengono considerate anche le reazioni allergiche di tipo locale la percentuale arriva al 19%.

Maggiormente colpite dall’allergia al veleno di imenotteri, risultano le categorie particolarmente esposte come gli apicoltori, gli agricoltori, i residenti in zone rurali e coloro che per lavoro o per hobby svolgono attività all’aperto. Il maggior numero di reazioni allergiche è riscontrabile nella popolazione maschile di età inferiore a 30 anni. Tuttavia il rapporto tra esposizione e rischio di malattia appare condizionato da alcuni fattori.

 

Gli apicoltori professionisti, punti frequentemente (almeno 50 punture per stagione) raramente sviluppano reazioni, poiché la quantità complessiva di veleno ricevuta li sottopone verosimilmente ad una “iposensibilizzazione naturale”. Un intervallo tra due punture successive inferiore a due mesi, costituisce invece un fattore di rischio significativo per l’insorgenza di manifestazioni allergiche. Le reazioni più gravi si documentano preva- lentemente in individui anziani poiché le condizioni cliniche generali, soprattutto cardiocircolatorie, influenzano negativamente la prognosi.

Cause

In Italia gli imenotteri pungitori sono rappresentati dalle famiglie dei Vespidi (Giallone, Polistes e Calabrone) e degli Apidi (Ape e Bombo).

La Vespa o Giallone è la più diffusa nel nostro paese; misura fino a 1,5 cm in lunghezza, ha l’addome tipicamente a strisce gialle e nere, quasi privo di peluria. Di solito nidifica nel terreno sotto le rocce o tra le radici degli alberi. E’ attratta dall’odore degli alimenti, per cui entra frequentemente a contatto con l’uomo.

Il Polistes è caratterizzato da un corpo più affusolato rispetto alle altre specie di Vespidi e da zampe più lunghe, i nidi sono generalmente collocati in posizione elevata (grondaie, finestre, rami di albero...) e hanno un caratteristico aspetto cartaceo.

Il Calabrone è il Vespide di più grandi dimensioni (fino a 3 cm), è di colore ruggine e nidifica di solito nei tronchi di alberi o nei solai.

L’Ape raggiunge la dimensione di circa 1,5 cm, ha il corpo ricoperto di peluria ed un colore marrone scuro con bande addominali dorate. L’ape muore dopo la puntura lasciando nella cute il pungiglione con il sacco velenifero.

Il Bombo si distingue dall’ape per le sue maggiori dimensioni, per il corpo rotondeggiante e tozzo e per la sua livrea nera con strisce gialle o arancioni.

Manifestazioni cliniche

Un soggetto allergico al veleno di imenotteri può sviluppare una mani- festazione clinica compresa tra reazione locale (arrossamento e gonfiore con diametro superiore a 10 cm e durata maggiore di 24 ore) e lo shock anafilattico.

Generalmente l’allergia al veleno di insetti è caratterizzata dalla seguente storia clinica: dopo una prima puntura l’individuo allergico inizia a produrre gli anticorpi IgE, in grado di reagire con il veleno dell’insetto (di solito una reazione allergica severa non si manifesta mai alla prima puntura); Dopo la seconda puntura di un insetto della stessa specie o simile, il veleno reagisce con gli anticorpi IgE prodotti in risposta alla precedente puntura; Il legame del veleno con le IgE provoca il rilascio di sostanze come istamina e altre sostanze responsabili della reazione allergica.

Le reazioni sistemiche di regola si verificano repentinamente, raramente oltre i 30 minuti, e la rapidità dell’insorgenza è quasi sempre correlata alla gravità della manifestazione. Il quadro clinico delle reazioni sistemiche è variabile e influenzato da numerosi fattori quali le condizioni di salute dell’individuo colpito, gli organi e apparati interessati.

Il paziente allergico può avvertire in rapida successione vampate di calore, orticaria e più raramente sintomi quali nausea, crampi addominali, vomito e nel sesso femminile dolore pelvico. Possono quindi presentarsi in rapida successione sintomi respiratori provocati dal “rigonfiamento” della laringe (il soggetto fa fatica a parlare, ha l’impressione di soffocare, gli manca l’aria) e cardiovascolari (accelerazione del battito cardiaco e forte abbassamento della pressione arteriosa). Lo shock anafilattico può anche essere mortale.

Tra i vari aspetti non va sottovalutato quello psicologico: il paziente allergico al veleno di imenotteri vive spesso in uno stato di angoscia che incide pesantemente sulla qualità della vita e sull’attività lavorativa.

Storia naturale

I numerosi studi prospettici e retrospettivi hanno evidenziato che l’allergia al veleno di imenotteri è una malattia che tende ad una remissione clinica spontanea: dopo una manifestazione sistemica, in occasione di una nuova puntura, solo il 40 - 60% dei pazienti reagirà ancora. I fattori che determinano questo fenomeno non sono tuttora noti, anche se l’evoluzione clinica appare sfavorevolmente condizionata da una complessa interazione di variabili quali: severità della reazione, età adulta, breve intervallo di tempo intercorso dall’ultima reazione.

I pazienti che reagiscono alle punture successive presentano una sinto- matologia tendenzialmente simile a quelle dell’esordio. Questa peculiarità risulta particolarmente evidente negli individui con anamnesi di reazioni locali i quali, dopo successiva puntura, solo nel 5% dei casi svilupperanno una sintomatologia sistemica.

Prevenzione

Le più comuni norme di prevenzione sono riportate schematicamente nella tabella seguente. A parte queste è inoltre opportuno indossare un casco integrale e guanti per andare in motocicletta. Infine, in caso di puntura di ape rimuovere immediatamente il pungiglione attraverso un rapido raschiamento dell’unghia o con una lama, evitando di comprimere o spremere il sacco velenifero tra le dita.

• Evitare di indossare abiti di colore sgargiante o con disegni floreali.

• Evitare movimenti bruschi se si è avvicinati da api o vespe.

• Non usare cosmetici profumati, lacca per capelli o essenze odorose.

• Fornirsi di insetticidi da tenere anche in macchina.

• Conservare con cura e ben chiusi i rifiuti domestici, evitare le aree adibite alla loro raccolta.

• Usare cautela quando si lavora all’aperto, in soffitta o sui cornicioni dei tetti.

• Usare cautela quando si cucina o si mangia all’aperto (non bere drink o bevande dolcificate, non lasciare scoperti alimenti).

• All’aria aperta indossare adeguate protezioni (scarpe,maniche lunghe, pantaloni e guanti).

• Applicare le zanzariere alle finestre di casa.

• Far bonificare da personale specializzato eventuali nidi nei pressi della propria abitazione.

 

Diagnosi e terapia

E’ indispensabile che i pazienti con una reazione severa a puntura di insetto si rivolgano ad un centro specialistico allergologico. Attraverso la raccolta anamnestica e adeguati accertamenti diagnostici lo specialista è in grado di stabilire se la reazione era di tipo allergico, identificare l’insetto responsabile, valutare il grado di rischio e delineare le migliori strategie terapeutiche.

La storia clinica non permette quasi mai di identificare l’imenottero responsabile.

I test cutanei, eseguiti con la metodica del prick test e delle intradermo- reazioni, utilizzando i veleni dell’ape, vespa, polistino e calabrone consen- tono generalmente di formulare una diagnosi corretta. I risultati delle indagini diagnostiche sono prive di valore prognostico, non esiste cioè nessun rapporto tra grado di positività, gravità della reazione e rischio futuro.

Ai pazienti che hanno manifestato orticaria, soffocamento e collasso cardiocircolatorio con documentata positività dei test diagnostici, viene raccomandata l’immunoterapia specifica con veleni purificati, che rappre- senta l’unico presidio terapeutico in grado di garantire una protezione pressoché completa in caso di nuova puntura.

L’immunoterapia prevede una prima fase, detta di incremento, che consiste nella somministrazione graduale di piccole dosi di veleno per raggiungere il dosaggio protettivo di 100 microgrammi (corrispondenti a circa due punture di ape e 4 di vespa). Questa prima fase può durare fino a tre mesi se vengono utilizzati protocolli di trattamento tradizionale o da 1 a 7 giorni se si impiegano schemi di induzione rapida (“rush therapy”). Se la dose di mantenimento viene tollerata senza problemi, l’intervallo tra un’iniezione e l’altra viene allungato gradualmente fino

a somministrazioni mensili. La durata minima del trattamento è di cinque anni. L’effetto protettivo si ottiene comunque subito dopo avere terminato la prima fase di incremento.

Tutti gli schemi adottati risultano efficaci, caratterizzati da un’incidenza media di reazioni sistemiche non trascurabile, pari al 10%, che nella maggior parte dei casi sono però di lieve entità clinica e si risolvono senza nessun trattamento farmacologico.

Un aspetto importante è rappresentato dalla maggiore frequenza di reazioni osservabile utilizzando il veleno di ape rispetto a quello di vespidi. Le cause di questo fenomeno non sono ancora del tutto note, ma il recente impiego di estratti purificati, sia per terapia acquosa che ritardo, ha significativamente migliorato la tollerabilità così che la differente incidenza di reazioni tra i due veleni risulta minima.

I pazienti particolarmente sensibili devono munirsi di piastrina informativa e di farmaci (adrenalina, antistaminici, steroidi) per autogestire corretta- mente una eventuale terapia di emergenza. In particolare, a meno che non ci siano controindicazioni mediche, l’adrenalina dovrebbe essere prescritta a tutti i pazienti che abbiano avuto una reazione sistemica a seguito di una puntura di insetto.

La somministrazione rapida di questo farmaco, di prima scelta nella prevenzione dell’anafilassi, si correla ad una significativa riduzione della mortalità. E’ bene che per la prevenzione delle complicazioni (talvolta anche gravissime) i pazienti ricevano istruzioni precise sull’automedi- cazione con antistaminici, cortisonici ed adrenalina autoiniettabile da parte dello specialista allergologo.

La Prevenzione
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La prevenzione primaria e secondaria delle malattie allergiche

Negli ultimi decenni la frequenza delle malattie allergiche in Italia e nel mondo ha subìto un continuo aumento, dando luogo a quella che può essere definita una vera e propria “pandemia” delle allergie. Questo fenomeno ha riguardato soprattutto i Paesi con uno stile di vita cosiddetto “occidentale”, cioè Europa, Nord America ed Australia. In alcuni casi la frequenza delle malattie allergiche è più che raddoppiata negli ultimi 15-20 anni. Pertanto, allo stato attuale le patologie allergiche rappresentano un concreto problema, oltre che sanitario, anche socio-economico. Infatti, parallelamente all’aumento della prevalenza delle patologie, sono aumentati considerevolmente sia i costi diretti (prevenzione e terapia) che i costi indiretti (giornate di assenza dalla scuola o dal lavoro, etc.) ad esse legati. Infine, non bisogna dimenticare il peso che hanno assunto i costi “non misurabili” delle malattie allergiche, ovvero quelli relativi alle limitazioni delle attività quotidiane e l’impatto sulla qualità della vita. Pertanto, appare quanto mai necessaria la messa in opera di misure in grado di arrestare questa “avanzata” delle malattie allergiche, non soltanto mediante lo sviluppo di nuovi farmaci per la cura dei pazienti, ma anche, e soprattutto, attraverso strategie di prevenzione che impedi- scano ad un numero sempre maggiore di persone di diventare allergiche.

La prevenzione primaria delle allergie

Il primo livello di prevenzione delle allergie (prevenzione primaria) consiste nell’impedire che un individuo diventi allergico.

È stato dimostrato che vi è una base genetica dell’allergia. È possibile, infatti, identificare già nelle prime settimane di vita alcuni individui “a rischio” per lo sviluppo futuro di allergia. Mentre un bambino nato da genitori non allergici ha meno del 10% di probabilità di sviluppare allergia nel corso della vita, il figlio di un genitore allergico ha circa il 40% di probabilità di ereditare la patologia (soprattutto se ad essere allergica è la madre); tale percentuale sale anche fino all’70% nel caso in cui entrambi i genitori siano allergici ed abbiano lo stesso tipo di allergia. Questo dato indica chiaramente che esiste una popolazione “a rischio” per lo sviluppo di allergie sin dalla nascita ed identifica questa popolazione come l’obiettivo principale dei programmi di prevenzione.

Nonostante non siano stati ancora definiti con precisione gli elementi genetici responsabili della trasmissione dell’allergia, esistono forti evidenze che dimostrano la ereditarietà della “atopia”, che rappresenta una condizione fortemente predisponente allo sviluppo delle allergopatie.

Per atopia si intende la tendenza da parte del sistema immunitario di un individuo a rispondere ad alcuni stimoli esterni (allergeni) con la produ- zione preferenziale di anticorpi di tipo IgE. Gli allergeni sono costituiti da sostanze presenti ad esempio nei pollini delle piante, sul pelo degli animali e nella polvere degli ambienti domestici. Nell’individuo sano gli allergeni non inducono alcuna risposta da parte del sistema immunitario. Gli anticorpi IgE, che i soggetti atopici producono in conseguenza del contatto con un allergene, svolgono un ruolo primario nella attivazione delle cellule (mastociti nei tessuti e basofili nel sangue) responsabili delle manifestazioni allergiche.

I meccanismi biologici che danno luogo alle allergie sono complessi e le manifestazioni cliniche derivano, in definitiva, da interazioni tra il patrimonio genetico, da cui dipende la condizione di predisposizione, e fattori ambientali, che agiscono come fattori scatenanti. Appare, quindi, evidente che i meccanismi responsabili della allergia sono molto articolati e che eventuali interventi di prevenzione su di essi possono e devono avvenire a diversi livelli.

Le strategie per la prevenzione primaria derivano, in gran parte, dagli studi epidemiologici condotti negli ultimi anni dai quali risulta che, in Paesi con stile di vita “occidentale”, si è verificato un aumento progressivo

della prevalenza di malattie allergiche. In questi Paesi è stato osservato che la diffusione delle patologie allergiche è stata significativamente maggiore nelle aree cittadine, mentre ha interessato solo in maniera limitata le aree di campagna. È verosimile, pertanto, che le differenti condizioni ambientali ed abitudini di vita delle aree industrializzate (maggiore inquinamento atmosferico, uso estensivo di materiali sintetici, minore incidenza di patologie infettive per le migliorate condizioni igieniche, più ampia disponibilità di farmaci antibiotici) abbiano inciso in modo significativo sulla “esplosione” delle patologie allergiche. Sono, inoltre, numerosi e consistenti i dati che sottolineano una significativa riduzione nella prevalenza di asma ed altre patologie allergiche in giovani adulti residenti in campagna rispetto a quelli abitanti nelle città.

Un ulteriore dato sottolinea l’importanza della precocità della esposizione all’ambiente rurale: la prevalenza delle allergopatie è significativamente ridotta nei bambini che vivono all’aria aperta in campagna sin dal primo anno di vita. Un’osservazione ancora più interessante è che l’effetto protettivo sulle allergie risulta ancora più evidente se l’intera gestazione avviene in ambienti di campagna piuttosto che in quelli di città.

Il ruolo dell’allattamento al seno nella prevenzione delle allergie

Uno strumento “naturale” che sembra es- sere efficace nella prevenzione delle allergie è rappresentato dall’allattamento al seno. Infatti, è stato dimostrato da diversi studi condotti negli ultimi anni che, in popola- zioni pediatriche a rischio per familiarità di allergopatie, esiste una relazione inversa tra la durata del periodo di allattamento materno e la prevalenza di allergia. In pratica, i neonati allattati dalla mamma per un periodo più lungo presentano un rischio significativamente minore di sviluppare allergia nel corso dei primi anni di vita rispetto a quelli il cui allattamento ha una durata limitata.

 

Il ruolo delle infezioni nella prevenzione delle allergie

Vi sono oggi numerose osservazioni epidemiologiche e cliniche che suggeriscono una relazione inversa tra la diffusione delle infezioni batteriche e la presenza di allergie nella popolazione. Nel tentativo di spiegare le osservazioni che attribuiscono al contatto con ambienti ed oggetti “sporchi” ed alle infezioni batteriche un possibile effetto protettivo nei confronti delle allergie è stata elaborata una teoria, denominata “ipotesi igienica”. Secondo questa ipotesi, l’elemento in grado di conferire una protezione nei confronti dello sviluppo di allergie sembra essere costituito da particolari componenti batteriche, le endotossine. Queste sostanze, infatti, sarebbero in grado di causare una maggiore stimolazione della componente del sistema immunitario responsabile della risposta “corretta” ai patogeni infettivi rispetto a quella “sbagliata”, responsabile della allergia. Le migliori condizioni igieniche e l’uso estensivo di farmaci antibiotici con la conseguente riduzione dei contatti con i microrganismi patogeni costituirebbero quindi un importante fattore di rischio per lo sviluppo di allergia in soggetti geneticamente predisposti. Inoltre, accanto all’importanza dei batteri provenienti dall’esterno, che colpiscono cute e vie respiratorie, va sottolineato il possibile ruolo protettivo svolto dalla flora batterica intestinale, naturale colonizzatrice di vaste aree dell’apparato gastroenterico ed alla cui formazione concorrono i batteri presenti sia nell’ambiente che nei cibi.

A tal proposito, merita un discorso a parte il tema delle vaccinazioni. La profilassi nei confronti delle principali malattie infettive, attuata mediante la pratica vaccinale obbligatoria nei bambini, rappresenta oggi uno dei principali strumenti disponibili per ridurre morbilità e mortalità legate alle stesse patologie infettive. Allo stato attuale non esistono dati clinici e sperimentali definitivi sui possibili effetti della pratica vaccinale sullo sviluppo delle malattie allergiche e, pertanto, non vi sono indicazioni a limitare il ricorso a tale importante misura preventiva anche nel caso di individui a rischio di allergia.

Il ruolo dell’esposizione agli animali domestici nella prevenzione delle allergie

È ancora controverso se l’esposizione ad animali domestici (cani, gatti, conigli) dei bambini predisposti all’allergia debba essere assolutamente evitata nei primi anni di vita. Questo concetto è stato recentemente messo in discussione. È stato, infatti, osservato che i bambini atopici che sin dalla nascita vivono a stretto contatto con
un gatto presentano un rischio di diventare allergici a questo animale significativamente minore rispetto ai bambini che vi entrano in contatto solo nell’infanzia o nell’adolescenza. Alcuni studi epidemiologici indicano, addirittura, che l’effetto protettivo risulta tanto più evidente quanto maggiore è il numero dei gatti residenti in casa. Questa protezione legata alla esposizione precoce all’animale è stata finora dimostrata solo per il gatto. L’ipotesi elaborata per spiegare questo fenomeno, apparentemente paradossale, è che, l’elevata intensità dello stimolo allergenico, ovvero l’alta concentrazione di derivati del gatto presente in una casa dove risiedono uno o più animali, rappresenti un fattore in grado di indurre una specifica “tolleranza” da parte del sistema immunitario del neonato. Al contrario, in mancanza di una esposizione precoce, l’incontro con l’allergene in fasi successive della vita agirebbe da stimolo per lo sviluppo di allergia.

 

La prevenzione secondaria delle allergie

Oltre alla messa in atto delle strategie di prevenzione primaria delle allergopatie, utili per impedire che un individuo geneticamente predisposto diventi allergico, ugualmente fondamentale è l’adozione di misure in grado di limitare l’esposizione dei soggetti con patologia già clinicamente manifesta ai fattori ambientali (allergeni) responsabili delle riacutizzazioni cliniche e della cro- nicizzazione dell’allergia. L’insieme di queste misure rappresenta la prevenzione secondaria delle allergie e comprende sia disposizioni a carattere generale che norme specifiche per i diversi tipi di allergeni. 

Nell’ambito della prevenzione secondaria delle allergopatie, particolarmente importanti risultano essere gli interventi di prevenzione ambientale. In particolare, è stato osservato che l’esposizione domestica ad alte concentrazioni di acari della polvere ed al fumo di sigaretta, sia attivo che passivo, è in grado di favorire la progressione delle malattie allergiche nei soggetti predisposti. Alcuni studi hanno dimostrato che l’asma bronchiale insorge più presto nei bambini residenti in case con alte concentrazioni di allergeni derivati dagli acari. Per ridurre le concentrazioni di acari della polvere è estremamente importante eliminare dagli ambienti domestici quegli arredi che costituiscono un habitat favorevole per l’acaro (moquette, divani, poltrone, tendaggi pesanti). Un altro strumento molto utile consiste nel favorire ventilazione e ricambio dell’aria negli ambienti

domestici. Efficace sembra essere anche il ricorso a particolari materiali sintetici per il rivestimento dei cuscini e dei materassi. Non esistono, invece, evidenze concrete che il trattamento degli oggetti domestici con prodotti chimici anti-acaro sia particolarmente efficace rispetto al semplice lavaggio ad alte temperature.

Il fumo di sigaretta rappresenta un importante fattore di insorgenza ed aggravamento delle malattie allergiche. Alcune sostanze contenute nel fumo di sigaretta stimolano la produzione di importanti molecole che causano allergia. Inoltre, vi sono numerosi dati i quali indicano che la prevalenza delle allergopatie risulta essere maggiore nei figli di madri fumatrici ed è stato osservato che l’asma bronchiale esordisce più preco- cemente e con una sintomatologia più grave nei bambini che vivono con adulti fumatori. Infine, non va dimenticato che il fumo danneggia direttamente le strutture dell’apparato respiratorio (e non solo!), contri- buendo così alla riacutizzazione ed all’aggravamento dei sintomi clinici della sintomatologia anche nei soggetti con asma bronchiale già clinicamente manifesto.

Va ricordato infine che tra le misure di prevenzione secondaria, capaci cioè di ridurre od impedire la comparsa dei sintomi quando l’allergia si è già manifestata, rientrano anche i cosiddetti “vaccini”. E’ dimostrato da numerose ricerche l’efficacia preventiva, anche a lungo termine e verso le complicazioni, della terapia vaccinica, che più correttamente viene definita immunoterapia specifica (ITS). Ad esempio la ITS in bambini con rinite allergica riduce notevolmente la frequenza di comparsa dell’asma in età più avanzata rispetto a quanto accade in bambini non vaccinati. La immunoterapia specifica, che deve essere prescritta solo dalla specialista allergologo dopo gli opportuni accertamenti, è in grado di prevenire le reazioni allergiche anche per molti anni dopo la sospensione del trattamento. La ITS consiste nella somministrazione dell’allergene responsabile dei disturbi allergici, partendo da concentrazioni molto basse ed aumentando progressivamente il dosaggio sino ad un livello massimo che va ripetuto a lungo secondo la prescrizione dello specialista. Attualmente è stata accertata l’efficacia di questa terapia anche somministrando gli allergeni in dosi crescenti per via sottolinguale, mentre in precedenza si usava solo la via iniettiva (per via sottocutanea).

Sino ad oggi non ci sono evidenze certe sull’efficacia dell’ITS nelle allergie alimentari, nelle dermatiti allergiche e nelle allergie a farmaci. Essa è invece di importanza fondamentale nella prevenzione secondaria delle allergopatie da allergeni inalanti (pollini, derivati dermici di animali, acari della polvere, etc.) ed in particolare da punture da insetti (api, vespe e calabroni). 

Prevenzione dell'allergia respiratoria
Ancora 9

Prevenzione dell’allergia ad inalanti

La patologia allergica respiratoria è molto frequente nella popolazione generale: la sua prevalenza si aggira in media intorno al 10-15%. Inoltre, negli ultimi 20 anni si è osservato un costante aumento delle allergie (respiratorie e non), per il quale sono state proposte numerose spiegazioni. Una delle spiegazioni più solide e ragionevoli è che l’aumento delle allergie sia da imputarsi al migliorato “stile di vita”, che vuol dire meno infezioni, cibi sterili, aumento del tempo trascorso in ambienti chiusi. Per tutti questi motivi, insieme alla ricerca di farmaci sempre più efficaci e sicuri, è stata data molta importanza alla prevenzione delle allergie.

La prevenzione ideale sarebbe quella che impedisce ad un soggetto di diventare allergico. In questo senso sono stati fatti numerosi tentativi di prevenire l’insorgenza di allergia, per esempio intervenendo sulla dieta materna, sull’allattamento, sulla somministrazione precoce di “probiotici” e altro. Tuttavia, è risultato chiaro che fino ad oggi non siamo in grado di effettuare un tale tipo di prevenzione. Probabilmente perché i fattori che fanno si che un individuo diventi allergico sono troppo numerosi, ed esiste comunque anche un substrato genetico, che al momento non è individuabile né modificabile.

Ciò che invece si può tentare di fare dal punto di vista pratico è prevenire (ridurre) i sintomi in quei soggetti che sono già allergici. Questo approccio comporta ovviamente l’allontanamento degli allergeni inalatori (quelle sostanze che se inalate causano i sintomi di asma o rinite). Gli allergeni inalatori sono numerosi e molto diversi tra

loro. Una suddivisione molto grossolana li distingue in “outdoor” (quelli che stanno all’esterno) e quelli “indoor” che si trovano all’interno delle abitazioni. Tra i primi i più importanti sono i pollini vegetali, come ad esempio graminacee, olivo, parietaria, betulla, ecc. Tra gli allergeni degli ambienti chiusi vi sono le sostanze prodotte dagli acari della polvere, alcune muffe (es. Penicillum, Cladosporium) e le forfore di animali domestici (soprattutto cane e gatto). L’allontanamento completo degli allergeni riduce sicuramente i sintomi. Ad esempio è noto che i soggetti allergici a pollini stanno bene al di fuori della stagione pollinica, e che gli allergici ad acari della polvere migliorano drammaticamente se soggiornano per lunghi periodi in alta montagna, dove gli acari sono assenti.

Pollini

Per i soggetti allergici a pollini, purtroppo l’allontanamento o l’evitamento degli allergeni è quasi impossibile, ma si possono prendere alcune semplici precauzioni:

• Limitare le attività all’aperto durante la stagione pollinica, soprattutto se c’è vento.

• Evitare di uscire nelle ore di maggior
concentrazione pollinica: ore centrali (10-
16 h.) e subito dopo un temporale (la pioggia rompe i granuli pollinici in frammenti più piccoli).

• Non tagliare l’erba o rastrellare le foglie nel periodo di picco pollinico.

• Tenere chiuse le finestre durante le ore centrali della giornata. • Tenere chiusi i finestrini delle auto durante i viaggi.

• Consultare i calendari pollinici, ricordando che la fioritura è posticipata di 20-40 giorni in montagna oltre i 1000 metri.

• Durante la stagione pollinica, i pazienti dovrebbero trasferirsi in aree a bassa concentrazione pollinica: zone marine o montane al di sopra dei 1000 metri.

Acari della polvere

Questi aracnidi praticamente invisibili ad occhio nudo, vivono e crescono bene dove c’è caldo ed elevata umidità (per esempio non sopravvivono in montagna) e dove sono abbondanti le desquamazioni della cute umana (letti, cuscini,
tappeti). Sono stati proposti numerosi metodi per tentare di ridurre la quantità di acari e quindi dei loro allergeni, tra cui ricordiamo: uso di coprimaterassi/copri-cuscini “antiallergici”, eliminazione di moquette tendaggi e tappeti, lavaggio degli effetti letterecci con acqua calda e detergenti, sostanze acaricide da spruzzare nell’ambiente, pulizia frequente degli ambienti con aspirapolvere dotati di filtri HEPA DIA (ad alta efficienza). Tutti questi metodi sono stati sottoposti a verifica rigorosa in numerosi studi clinici controllati. Il risultato è che solo alcuni metodi (coprimaterassi, lavaggio delle lenzuola in acqua calda, aspira- polvere con filtro HEPA) sono effettivamente in grado di ridurre la quantità di allergeni degli acari nell’ambiente. Tuttavia, l’effetto benefico sui sintomi di asma o rinite di ciascun metodo preso singolarmente è di fatto molto piccolo ed è visibile solo per le fodere antiallergiche. Quindi, l’utilizzo di fodere antiallergiche è l’unico sistema che da solo può ridurre i sintomi. Anche se mancano studi in proposito, è consigliabile comunque applicare contemporaneamente almeno quelle misure che certamente riducono la quantità di acari:

1) Usare fodere impermeabili “antiallergiche” per materassi e cuscini. Le fodere devono essere ermetiche ed antifruscio e devono essere lavate almeno ogni due mesi.

2) Lavare lenzuola e federe almeno una volta alla settimana in acqua calda (55-60°C).

3) Eliminare tappeti, moquettes, tendaggi e oggetti in peluche.
4) Pulire a fondo le stanze utilizzando aspirapolvere con filtro “HEPA”. L’utilizzo di aspirapolvere normale è sconsigliabile perché solleva in aria gli allergeni degli acari. L’utilizzo di acaricidi (in polvere o spray) non è consigliato a causa della possibile tossicità, della poca praticità e della scarsa efficienza.

Animali domestici. Gli allergeni del cane e del gatto, derivano dalla loro saliva e si depositano sul pelo. Le particelle sono molto piccole (rimangono facilmente sospese in aria) aderiscono facilmente e tutte le superfici (indumenti compresi) e quindi sono difficili da rimuovere e possono essere anche trasportate
involontariamente in ambienti dove non ci sono animali. Anche per gli allergeni animali sono stati fatti numerosi studi sulle metodiche che consentirebbero di ridurle, ma nessuna di queste ha dato singolarmente risultati clinici apprezzabili. Tuttavia, come nel caso degli acari, possono essere suggerite alcune misure precauzionali che, attuate tutte insieme, possono aiutare a ridurre l’esposizione:

1) Non fare entrare l’animale domestico nelle zone della casa più frequentate e soprattutto in camera da letto.

2) Lavare spesso gli indumenti che rimangono a contatto dell’animale.

3) Il lavaggio dell’animale consente di ridurre gli allergeni, ma solo per pochi giorni. Il lavaggio dovrebbe essere almeno bisetti- manale.

4) Eliminare tappeti, tendaggi e moquettes che fungono da deposito degli allergeni.

Muffe

Le muffe degli ambienti chiusi sono soprattutto Aspergilli e Penicilli che crescono in condizioni di umidità superiore al 50-60%, sui tappeti, muri, moquette, tappezzeria, polvere e alimenti avariati. Alcuni semplici accorgi- menti, volti soprattutto a favorire il ricambio di aria e a ridurre l’umidità sono utili per ridurre l’esposizione alle muffe:

Alternaria

• favorire sempre la ventilazione e il ricambio di aria (specialmente in bagno attivare la ventola aspirante o aprire la finestra)

• non utilizzare mai gli umidificatori

• eliminare le infiltrazioni di acqua

• asciugare immediatamente tutto il materiale umido

• pulire regolarmente le guarnizioni dei frigoriferi; vuotare e pulire frequentemente le vaschette dell'acqua nei frigoriferi autosbrinanti

• lavare regolarmente le tende della doccia, lavandini, vasca e pareti di bagno e cucina con candeggina

• limitare il numero delle piante ornamentali

• i depuratori di aria muniti di filtri adeguati possono essere efficaci nel rimuovere le spore fungine

Conclusioni. I soggetti allergici dovrebbero sempre attuare tutte le misure possibili per evitare o ridurre il contatto con le sostanze che scatenano i sintomi. Ricordiamo però che a monte di tutto questo deve sempre esserci una diagnosi specialistica dettagliata e soprattutto che nessuna delle misure indicate sopra è sufficiente da sola a curare l’allergia respiratoria. A questo proposito, lo specialista allergologo è in grado di fornire al paziente tutte le informazioni necessarie sulle modalità e sull’efficacia delle misure di prevenzione ambientale. 

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